Il conto

Uscimmo dal locale e lei si teneva stretta stretta a me. Improvvisamente, pareva che avesse dimenticato come si cammina sui tacchi. Non so se fosse davvero così ubriaca come voleva darla a intendere, ma la cosa non mi interessava più di tanto.

Beh, il fatto è che mi ero infastidito. Ve lo devo dire, e non sia mai che passi per tirchio. Io sono dell’idea che finché i soldi ci stanno, vanno spesi. Sì, lo so, non diventerò mai ricco, ma uno che sceglie di fare il professore lo sa già che non farà fortuna. 

Comunque, dicevo, io ho mangiato due panini e una birra, lei un’insalata, quattro birre, due cicchetti. Oltre che è un mistero capire come facesse a rimanere in linea, la questione è che non aveva fatto neanche la mossa di voler dividere il conto. Non l’avrei certo fatta pagare, o lo avrei fatto solo se avesse insistito, ma, dico io, almeno la finta di mettere la mano nella borsa la devi fare. Anche solo per darmi la possibilità di fare il brillante e dire: «Non si preoccupi mia cara, ci penso io!». 

E invece, niente di niente, si era seduta sullo sgabello e aveva atteso che io pagassi. Oh, ragazzi, forse si è capito, ma io in quei mesi non è che me la passassi benissimo. Se c’avevo soldi da spendere, li avrei usati per tornare a casa o, che so io, per riparare il condizionatore dell’auto, quindi quando vidi l’importo ci mancò poco che finissi steso per terra.

Alla faccia della birra artigianale e di tutti i fricchettoni di ‘sto mondo!

Certo, lei mi guardava come fossi un succulento pezzo di carne, ma in quel momento la cosa non mi tirò affatto su.


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